Quaderni della Fondazione Professor Paolo Michele Erede a cura di Michele Marsonet

Quaderno N. 1 – 2008. “I Problemi della Società Multietnica”
Numero monografico dedicato agli elaborati vincitori della Prima Edizione del Premio Professor Paolo Michele Erede

Paolo Michele Erede - Le compatibilità per una cultura dell’incontro in una società multietnica.

tratto dal libro “Florilegio”

Ieri si guardava il passato per prevedere l’avvenire, oggi è preferi­bile interrogare l’avvenire per organizzare il presente.

Fra il “non è più” e il “non è ancora” in un divenire che è avenir changeant non si può andare avanti guardando indietro.

Non si può vivere con l’incubo della “minaccia del futuro” tentando di respingerlo, né cedere passivamente agli eventi, o, peggio, rifu­giarsi nella nicchia del presente per timore del passato e diffidenza del futuro.

L’uomo che è, è l’uomo che comunica, è “l’homo communicans”.

È altresì evidente che nella società culturale tutti gli uomini non pensano allo stesso modo e non conducono la loro vita secondo gli stessi imperativi morali.

La Società non è più regolata da codici ed ideali comuni a tutti i suoi membri. Una varietà di sistemi di pensiero e una molteplicità di ide­ologie portano una certa svalutazione di questi stessi sistemi. Poco per volta la Società si trasforma sull’onda dell’interscambio fra po­poli, culture, collaborazioni scientifiche, tecnologie industriali, ecc...

Quando culture differenti sono messe a contatto, avvengono sempre reciproche sensibilizzazioni che conducono a “scontro-rifiuto” come a “incontro-accettazione”; nel primo caso possono verificarsi con­flitti talora violenti sia sul piano collettivo sia su quello individuale determinati

da reciproca diffidenza, non conoscenza e timori di contaminazione”

che snaturi l’originalità etnico-culturale; nel secondo caso – talvolta impercettibilmente e molto lentamente – si va, consciamente o incon­sciamente, incontro ad assimilazioni selezionate secondo il grado di plausibilità (vedi nelle arti, nell’artigianato, nei rapporti con la na­tura, nelle abitudini di vita: alimentazione, abbigliamento, ecc.), mentre al contrario restano impermeabili concezioni religiose e filo­sofiche e tradizionalismi così esasperati da creare barriere insor­montabili all’integrazione, anche se tali non appaiono in superficie per esigenze di convenienza.

La Società multietnica sempre più si diffonde, anche se – in molti casi – oggi si assiste all’apparente contraddizione della volontà di et­nie di riappropriarsi di territori, di ristabilire confini, di riscoprire patrie, di conservare e sviluppare tradizioni il che per altro non contrasta con progetti federativi motivati da necessità economico-produttive e dalle necessità dell’interscambio e della distribuzione delle risorse.

Lo spazio geografico è un prodotto costruito progressivamente dalle Società a loro immagine e in funzione dell’immagine che danno di se stesse, nella storicità delle loro esperienze. Comunemente si di­stinguono tre spazi: “lo spazio di vita”, “lo spazio sociale”, “lo spa­zio vissuto”.

“Lo spazio di vita” è lo spazio concreto del quotidiano, “lo spazio sociale” rappresenta l’insieme delle interrelazioni sociali spazializzate sia per un gruppo sociale che per un singolo individuo; “lo spazio vissuto” è l’insieme dei luoghi frequentati dall’individuo, ma anche delle relazioni sociali che vi si svolgono e dei valori psicologici che vi sono per­cepiti e proiettati.

Infatti lo spazio vissuto (o metastruttura socio-spaziale) è rappre­sentativo di soggetti endogeni, allogeni e di transito (provvisori) or­ganizzati o no in gruppi sociali e territoriali, spontanei o strategici, che corrispondono a forme idealmente viventi di configurazioni che tendono a costituire:

1 – Le aree dell’abitare (formazioni socio-spaziali più piccole), centri di convivenza, parenti, amici, vicini, colleghi di lavoro, membri di uno stesso raggio associativo.

Queste formazioni si ritrovano negli agglomerati dei piccoli paesi delle microregioni o del luogo di lavoro, ovvero formazioni socio-spaziali elementari che realizzano senza alcun dubbio il rapporto più stretto, più intimo e più vitale fra l’individuo e l’habitat.

Non stupisce che queste condizioni segnino una logica organizza­tiva a dominanza geografica e socio-economica.

2 – La formazione socio-spaziale intermedia si sviluppa a livello di regione.

Secondo R. Schwab “l’assetto spaziale può variare nel seno di un gruppo umano, secondo gli individui, in funzione della loro età, del loro sesso, del loro rango sociale o del loro livello culturale”.

Queste metastrutture (più che formazioni socio-spaziali) costitui­scono il passaggio obbligato verso quelle forme più oggettive del territorio regionale che in parte rispondono all’ideologia ed al potere politico.

3 – Formazioni socio-spaziali superiori: nazioni, federazioni o con­federazioni di stati rispondono alle rappresentazioni collettive, miti­che e culturali, ideologiche nel senso pieno del termine, produttrici – a questo titolo – di potere politico ma anche di regolamentazione so­cio-economica e di immagine geo-storiche.

Certamente popolazioni nomadi occupano – per le loro caratteristi­che – vasti spazi, popolazioni sedentarie si concentrano in spazi mi­nori con squilibri abitativi del pianeta; ma squilibri di ogni tipo de­rivano dalle frontiere.

La funzione di una frontiera e quella di dividere, è il modo con il quale gli stati contemporanei esprimono la propria identità ed eser­citano la propria sovranità.

Le frontiere sono il prodotto di avvenimenti storici diversi tra loro e collegate agli effetti di tali eventi che si concludono nei cosiddetti trattati di pace.

Problemi gravi sorgono quando minoranze sono rimaste chiuse in confini innaturali ed in qualche modo vengano forzatamente indotte ad una assimilazione per la quale non erano culturalmente prepa­rate; troppe volte frontiere artificiali hanno causato gravi crisi per la necessità delle minoranze di difendere la propria identità. Fenomeni naturali: catastrofi, epidemie, carestie ecc...; fenomeni innaturali: guerre, etnocidi, genocidi, distruzione di centri abitati ecc. hanno spinto qua e là per il pianeta interi popoli.

Questi spostamenti migratori si sono verificati e si verificano con ritmi ad intensità differente secondo le motivazioni loro proprie. La formazione di “Enclaves”, ovvero sacche territoriali nelle quali vi­vono popoli estranei per cultura, tradizioni, religioni, costumi, evi­denzia alle soglie del terzo millennio rischi ed esperienze che pare­vano superate e si ripetono errori dalle conseguenze tragiche per i continui conflitti e per condizioni economiche caratterizzate da as­soluta instabilità.

Gravi carenze formative e gravi ritardi nella preparazione alle grandi mutazioni storiche e storico-economiche anche del continente europeo hanno finora fatto tralasciare alla “grande politica” argo­menti fondamentali quali: la demografia storica e l’etnologia giuridica – quest’ultima non limitata solamente allo studio delle consuetudini delle varie etnie come fatto statico ma aperta dinamicamente a studi propositivi, ipotesi programmatiche, possibilità attuative e fatti come risposta ad una attesa anch’essa storica giacché, per tempi lunghissimi, siamo stati dalla storia imprigionati in una nicchia illu­soria, talvolta facendoci scudo della nostra stessa storia, non com­prendendo fra i grandi rischi il rischio del banale.

Scrive Levi Strauss: La storia organizza i suoi dati in base alle esperienze coscienti e l’etnologia in base alle condizioni inconsce della vita sociale. Ne deriva che una cultura dell’incontro in una società multietnica non può sorgere che dalla rimozione di una inerzia storica e dal graduale superamento di una concezione etnocentrica che rende re­ciprocamente estranei, ai rispettivi universi della cultura e della ci­viltà, residenti ospitanti ed immigrati.

D’altra parte: l’etnocentrismo non è innato e però rappresenta qual­cosa di molto essenziale dal momento che esso è solamente una estensione dell’egocentrismo che si trova alle autentiche radici della coscienza umana.

L’etnocentrismo può manifestarsi nei più variati campi e nei più va­riati modi, ma le immagini etnocentriche davvero potenti sono quelle che uniscono la solidarietà del “noi” etnico alle passioni indi­viduali dell’ “io” egocentrico (Edmund Leach).

Certamente più è elevato il grado di cultura più facile è la possibilità di intese basate anche su scambi culturali, i comportamenti sono temperati dalla conoscenza, dalla informazione, l’etnocentrismo è sfumato quando addirittura non assume un aspetto marginale ri­spetto ai nuovi modi di essere e di esistere ed il confronto di civiltà è stimolo alla creatività ed alla collaborazione costruttiva.

Nei casi in cui il grado di istruzione è meno sviluppato predomi­nano le abitudini di vita, modelli atavici di comportamento, rifiuto di tutto ciò che è diverso e pertanto prevalgono le concezioni inte­gralistiche.

Ma, considerando che non vi è un’immigrazione solamente monoet­nica ma polietnica, la società ricevente maggioritaria ed omogenea per lingua, tradizioni, comportamenti, ecc... ha difficoltà di comuni­cazioni con le varie minoranze etniche che non possono assumere il modello di comportamento monolitico.

La conoscenza sia da parte degli ospitanti sia da parte degli immi­grati delle rispettive culture facilita certamente il rapporto interet­nico, giacché consente una rispettiva decodifica dei linguaggi dei comportamenti, dei costumi, da cui deriva – necessariamente – una maggiore tolleranza.

L’atteggiamento dell’immigrato nei paesi ospiti si caratterizza con cinque condizioni psicologiche che sono quelle che ricorrono e che si riscontrano con maggior frequenza ovvero: l’interiorizzazione, l’identificazione, l’imitazione, l’indipendenza e la graduale assimila­zione.

1 – L’interiorizzazione: è la forma di conformità più tenace e più sot­tile: il soggetto fa il suo sistema di valori dell’ambiente in cui si trova e resiste ad ogni altro possibile cambiamento nella convinzione di essere più vicino alla realtà fisica e sociale.

2 – L’identificazione: è un adattamento non durevole. È la risposta all’influenza sociale da parte dell’individuo che desidera essere si­mile a chi lo influenza. È una posizione puramente strumentale.

3 – L’imitazione: consiste in un atteggiamento di accettazione di comportamenti e di un sistema di valori senza per altro aderirvi e per questo motivo ciascuno conserva le proprie idee e credenze pronto a mutare i propri comportamenti quando le circostanze non lo impongano più.

L’imitazione è ancora una forma di conformismo ma nel contempo è anche una forma di resistenza all’influenza dell’ambiente. Il suo si­gnificato è limitato: maschera una resistenza privata che, spesso, non provoca alcuna manifestazione esplicita.

4 – L’indipendenza: quando pur nell’adattamento alle leggi del paese ospitante viene mantenuta totale autonomia che si esplica in vita di gruppo o di comunità nulla sacrificando delle caratteristiche cultu­rali della propria etnia.

5 – La graduale assimilazione: realizzata anche con matrimoni misti sempre più frequenti.

Da quanto sinteticamente esposto risulta evidente la complessità dei rapporti interumani nella Società multietnica, l’intreccio e l’interazione psicologica, la multifattorialità nelle condizioni di inse­rimento e di accettazione senza tralasciare le difficoltà inerenti i grandi agglomerati urbani, i rapporti centro-periferia, le caratteristi­che abitative, i trasporti, le infrastrutture sociali ed assistenziali non­ché i disagi per popolazioni residenti e talvolta emarginate nel loro naturale contesto.

Le compatibilità non possono quindi verificarsi che in condizioni di razionalizzazione del fenomeno migratorio e nell’ordine di un ordi­namento sociale che garantisca innanzitutto il rispetto della persona e della dignità umana; quindi, “Società multietnica” e non “somma” spersonalizzante e spoliatrice delle rispettive individulità.

Ogni essere svolge il suo ruolo nell’intersezione “spazio-tempo”, ma la quasi totalità dell’attenzione è volta allo “spazio” e pochissimo al “tempo”.

Lo stravolgimento dei ritmi di vita, il non rispetto – peraltro innatu­rale dei bioritmi, l’accelerazione del tutto – imposta anche dalla So­cietà tecnologica – porta con sé ansia, tensione emotiva, stress e so­prattutto un progressivo disadattamento alla vita di relazione che interferisce sulla qualità stessa della vita e distanzia i modi di vivere fra le metastrutture socio-spaziali occidentali e quelle del Terzo Mondo. Considerando che gran parte dell’immigrazione proviene da paesi del Terzo Mondo, il ritmo di vita incide notevolmente in modo negativo, sulle possibilità di ambientamento e quindi di in­contro.

Per concludere: nel complesso processo che deve condurre ad una armonizzazione nella società multietnica, occorre anche rivedere la cultura del tempo e la cultura dello spazio sottraendole alle ipoteche della storia.




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